Onorevoli Colleghi! - Nel nostro Paese decine di migliaia di medici prescrivono medicinali omeopatici agli oltre 5 milioni di pazienti che curano la propria salute senza gravare sul Servizio sanitario nazionale. I prodotti omeopatici ad uso umano sono, di fatto, presenti in Italia da molto tempo (una decisione del Consiglio di Stato in materia risale al 1954) ma fino all'anno 1989 - quando furono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio 1989 le prime «Prescrizioni sulla produzione e sul commercio di prodotti omeopatici» del Ministero della sanità - sono stati solo tollerati.
      Dal 1989 i prodotti omeopatici - fabbricati in officine autorizzate dal Ministero della sanità - sono stati adeguati a tali prescrizioni, che ne garantiscono la innocuità e la sicurezza.
      Con la direttiva 92/73/CEE del Consiglio, del 22 settembre 1992, si riconosce finalmente ai prodotti omeopatici lo «status» di farmaci - anche se del tutto particolari - sottoponendoli per molti aspetti alla stessa disciplina comunitaria che fin dal 1965 regolamentava le specialità medicinali, ovvero i cosiddetti «farmaci allopatici».
      Con l'articolo 25 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993), l'attuazione di tale direttiva è stata delegata al Governo, con la precisazione che «i medicinali omeopatici prodotti in Italia o importati da Paesi della Comunità europea, presenti sul mercato italiano al 31 dicembre 1992, sono automaticamente e con la medesima presentazione autorizzati».
      La delega è stata esercitata dal Governo con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185 (recante «Attuazione della direttiva 92/73/CEE in materia di medicinali omeopatici») successivamente modificato ed integrato con altri provvedimenti legislativi.
      In particolare, con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185, all'articolo 1,

 

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comma 5, si stabilisce che: «Ai medicinali omeopatici si applicano le disposizioni concernenti le specialità medicinali, salvo quanto disposto dal presente decreto». Tali disposizioni si riferiscono al decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, e successive modificazioni, in materia di specialità medicinali.
      Nonostante la disciplina, apparentemente organica, dei medicinali omeopatici, sono ancora numerosi i problemi che affliggono tale settore, soprattutto per ciò che riguarda le fasi di produzione e di commercializzazione; ciò non può essere che la conseguenza di una troppo facile e sbrigativa assimilazione alle specialità medicinali di un farmaco come quello omeopatico, per definizione «non convenzionale» e perciò del tutto particolare.
      Disciplinare con gli stessi criteri due realtà diverse ha, infatti, come automatica conseguenza una sostanziale ingiustizia che porta con sé irrisolvibili difficoltà e contraddizioni.
      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si intende porre riparo ad una delle più evidenti ed emblematiche difficoltà che derivano alla terapia omeopatica dalla pretesa applicazione ope legis dei princìpi terapeutici convenzionali: l'impiego di medicinali cosiddetti «estemporanei».
      Come è noto, il Ministero della salute ha più volte fatto presente, anche in sede ispettiva, che tali produzioni omeopatiche possono essere effettuate solo nelle ipotesi disciplinate dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 178 del 1991, e successive modificazioni, al fine di «consentire la terapia di uno specifico paziente cui le produzioni standard non sono adeguate».
      Tale considerazione rientra pienamente nei princìpi e nella prassi medica vigenti in omeopatia, che si fondano, fra l'altro, sulla specificità psico-fisica della persona e quindi sulla individualità del medicinale.
      L'impiego di farmaci personalizzati, quindi quasi sempre non rientranti nelle produzioni standard autorizzate, deve - contrariamente a quanto avviene nelle terapie convenzionali - considerarsi, in omeopatia, fatto «non eccezionale» che si verifica soprattutto, laddove questo tipo di medicina viene praticata da più lungo tempo e la sua pratica risulta maggiormente strutturata, come in alcuni Paesi dell'Unione europea.
      Ciò posto, al fine di evitare malintesi o dubbi interpretativi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 178 del 1991, e successive modificazioni, si è ritenuto di stabilire, in modo chiaro, che le officine farmaceutiche autorizzate dal Ministero della salute alla produzione industriale di medicinali omeopatici, su richiesta delle farmacie, possono legittimamente preparare in modo estemporaneo minime quantità di medicinali anche se non autorizzati.
      In questo modo si adotterebbe un orientamento analogo a quello adottato in Belgio, Paese in cui l'omeopatia è particolarmente sviluppata, il quale ha codificato questo fenomeno con il decreto di recepimento della citata direttiva 92/73/CEE (decreto reale del 23 giugno 1999), che prevede una specifica norma «che svincola i medicinali omeopatici estemporanei» dalle disposizioni che disciplinano l'immissione in commercio dei medicinali industriali e consente alle «officine farmaceutiche regolarmente autorizzate» di prepararli per il farmacista che li richieda sulla base di una specifica prescrizione medica.
      Con l'articolo 2 si intende eliminare un'altra contraddizione emblematica legata alla tendenza ad assimilare gli aspetti produttivi del settore omeopatico a quelli del settore farmaceutico tradizionale.
      In effetti, la legislazione farmaceutica è costruita sulla base delle esigenze e caratteristiche specifiche della produzione del farmaco e necessariamente non contempla le specificità di un settore particolare come quello omeopatico. Questo aspetto si manifesta in modo evidente per quanto riguarda i requisiti delle materie prime che poi, per successive diluizioni, porteranno alla preparazione del medicinale omeopatico finale.
      Molte delle sostanze con le quali si preparano le diluizioni omeopatiche non sono classificabili fra i princìpi attivi farmacologici, nel senso che - anche se in
 

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possesso di elevata valenza terapeutica nella dottrina omeopatica - non presentano alcun interesse curativo nella medicina convenzionale: ad esempio diluizioni di «Silicea», «Calcarea carbonica», «Lycopodium», eccetera.
      In questi casi, per la natura stessa dei prodotti utilizzati come ceppi di partenza (biossido di silicio, guscio polverizzato delle ostriche, polvere di Lycopodium) i relativi fornitori potrebbero - come è molto probabile - non possedere i requisiti dei fornitori di sostanze farmacologicamente attive, ma risultare semplici fornitori di prodotti chimici diversi dai princìpi attivi per l'industria farmaceutica e pertanto non utilizzabili nella fabbricazione dei medicinali, anche se omeopatici.
      Ciò mette in grande difficoltà le aziende omeopatiche che quotidianamente hanno la necessità, ai fini delle loro normali produzioni farmaceutiche, ad utilizzare un gran numero di materie prime che invece non sono utilizzate dall'industria farmaceutica convenzionale e quindi non sono previste dalla normativa sui farmaci.
      L'articolo 2 della proposta di legge tende a porre riparo a questa «anomalia farmacologia», consentendo alle officine farmaceutiche omeopatiche di approvvigionarsi per l'utilizzo, come princìpi attivi di partenza, anche di sostanze diverse da quelle disciplinate dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, e successive modificazioni, o dichiarate dallo stesso fornitore destinate esclusivamente a scopi di ricerca o di laboratorio.
      Dare una soluzione a questo problema pratico ma essenziale per la sopravvivenza dell'industria italiana eliminerebbe anche una situazione di inaccettabile discriminazione delle aziende italiane nei confronti delle aziende straniere che invece, naturalmente, da sempre possono utilizzare la vasta gamma delle materie prime per uso omeopatico senza fare riferimento alla normativa farmaceutica.
      L'articolo 3 intende invece sanare un'altra anomalia legata alla specificità nel settore omeopatico: ossia la possibilità di informare medici e farmacisti delle caratteristiche dei medicinali omeopatici.
      In assenza di una norma specifica, che intendiamo proporre con il presente articolo, l'industria omeopatica dovrebbe fare riferimento al decreto legislativo n. 541 del 1992 che regolamenta la pubblicità dei medicinali ad uso umano e quindi anche dei medicinali omeopatici. Lo stesso decreto legislativo n. 541 del 1992 però, all'articolo 7, precisa che la pubblicità di un medicinale presso gli operatori sanitari deve comprendere le caratteristiche del prodotto autorizzato ai sensi della legge n. 178 del 1991 sui farmaci.
      Poiché i medicinali omeopatici sono autorizzati, non ai sensi della legge n. 178 del 1991, bensì ai sensi del decreto legislativo n. 185 del 1995, la conseguenza giuridica che ne deriva è che le caratteristiche dei medicinali omeopatici non possono essere presentate ai medici e farmacisti.
      Con l'articolo 3 quindi si vuole consentire l'informazione a favore di medici e farmacisti sulle caratteristiche dei medicinali omeopatici purché tali informazioni vengano desunte dalla bibliografia esistente nel settore.
      Con l'articolo 4, inoltre, si intende istituzionalizzare l'operato di un gruppo tecnico che permanentemente affronti i problemi che affliggono il settore dei medicinali omeopatici. Poiché i numerosi problemi del settore sono di differente natura e gravità, mediante un gruppo che registri il contributo e l'esperienza delle aziende produttrici e dei tecnici del Ministero della salute potranno essere studiate soluzioni semplici ed efficaci.
      L'affrontare collegialmente i problemi porrebbe fine, inoltre, al contenzioso che troppo spesso ha coinvolto gli uffici ministeriali ed ampi settori del mondo dei medicinali omeopatici dalla produzione alla individuazione di meccanismi di registrazione dei prodotti. Si perverrebbe, infine, alla definizione ed alla scelta di regole tecnico-amministrative e di sicurezza che, tenendo conto dell'indubbia particolarità dei medicinali omeopatici, favorirebbero l'armonizzazione delle esigenze
 

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di tutela della salute dei cittadini con i legittimi interessi del mondo della produzione. L'articolo 4 prevede anche la composizione del gruppo tecnico di lavoro e le modalità della sua istituzione.
      Con l'articolo 5, infine, si intende eliminare una ulteriore anomalia legata alla commistione tra normativa nel campo omeopatico e normativa nel campo farmacologico che riguarda l'autorizzazione alla distribuzione dei medicinali omeopatici da parte di aziende non produttrici.
      La ratio dell'articolo 5 sta nella constatazione che la norma primaria sulla commercializzazione dei medicinali omeopatici fa riferimento unicamente alla «notifica dei prodotti commercializzati in Italia alla data del 6 giugno 1995».
      Poiché il citato articolo 7 del decreto legislativo n. 541 del 1992 impone che coloro che commercializzano un farmaco debbano essere o i titolari della relativa autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) (di fatto le aziende che hanno notificato i medicinali omeopatici non sono titolari della relativa AIC perché non ancora esistente) o soggetti che siano distributori esclusivi o concessionari (in quest'ultima categoria si pongono la gran parte delle aziende che hanno provveduto a suo tempo alla notifica dei medicinali omeopatici ai sensi del decreto legislativo n. 185 del 1995). Ma per essere distributori esclusivi o concessionari si deve comunque essere titolari di altra AIC.
      Ora, se non si provvede ope legis a sanare la situazione esistente facendo sì che le aziende che hanno «notificato» siano considerate a tutti gli effetti titolari di AIC, le aziende italiane non potranno più essere distributori esclusivi o concessionari di altre aziende produttrici (generalmente operanti in uno Stato dell'Unione europea) anche se hanno regolarmente notificato i farmaci omeopatici in ottemperanza del decreto legislativo n. 185 del 1995.
 

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